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Villa Forni Cerato

FACCIATA

   


A suscitare nuovamente il dubbio collabora però l’assenza dei rapporti armonici tradizionali della produzione palladiana fra le dimensioni delle stanze, l’eccessiva bassezza dei vani del pianterreno o la presenza di qualche disarmonia proporzionale fra le parti dell’edificio. In particolare, l’attribuzione a Palladio, in mancanza di documenti certi e di disegni, è messa in dubbio dall’assenza di relazione tra la parte mediana della facciata e i due settori laterali, quasi che le due parti fossero state progettate da mani diverse, tanto netta è la distinzione e diverso il carattere di questi due corpi.



Tuttavia, se per alcuni aspetti vi sono scelte difficilmente ascrivibili al palladio, per altri si avverte in questo manufatto una mano esperta, geniale; ciò significa che sebbene la villa presenti certe incongruenze rispetto ai modelli palladiani, esse non sono tali da giustificare l’ipotesi di un progetto steso unicamente da un dilettante, per quanto di gusto. Si è pensato pertanto che l’opera possa essere frutto di una lavoro a più mani, il che giustificherebbe il fatto che le finestre dei settori laterali della facciata siano incorniciate, mentre quelle della parte mediana abbiano un altro modello. Dagli ultimi studi provenienti dal CISA (Centro Internazionale Studi di Architettura “Andrea Palladio”, sembra invece che, a causa degli alti valori formali che esprime, la paternità assai discussa e controversa della villa si sia definitivamente assestata sul nome di Andrea Palladio, almeno per quanto riguarda la facciata. Per spiegare le incongruenze e le contraddizioni della fabbrica questa tesi si appella ad una presunta ristrutturazione palladiana di un manufatto già esistente, trasformato pur con mezzi modesti in un significativo episodio monumentale; questo spiega le proporzioni anomale della villa e una distribuzione interna che non rispetta le consuete gerarchie palladiane, e impone che il punto di vista vada rovesciato, cogliendo l’intelligenza palladiana nel trasformare vincoli condizionanti in opportunità espressive.
Foto: Filippo Dall'Igna